venerdì 9 agosto 2013

Comunicato stampa su Abusi nei reparti psichiatrici Grossoni dell'Ospedale Niguarda di Milano

https://docs.google.com/file/d/0B_KRqmMLf7IPZ2c0RGhycGVnY1U/edit?usp=sharing


COMUNICATO STAMPA DELL•ASSOCIAZIONE “DALLE ANDE AGLI APPENNINI” – 26 LUGLIO 2013 – 26 LUGLIO 2013

EGREGIO PROCURATORE CAPO BRUTI LIBERATI
PERCHE’ MAI
LE APATICHE INDAGINI PRELIMINARI IN CORSO PRESSO LA PROCURA DI MILANO
SULLA MORTE DI 12 PAZIENTI NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA


SONO COSI’ ENORMEMENTE DIVERSE

DALLE ALACRI, SOLERTI, FULMINEE E SOLLECITE
INDAGINI PRELIMINARI CHE LA STESSA PROCURA DI MILANO HA SVOLTO
SUI PRESUNTI RAPPORTI SESSUALI DI UN NOTO POLITICO ITALIANO
CON UNA DICIOTTENNE MENO QUALCHE MESE?


...


Pagina 2
PREMESSA 1 -LA PRIMA DENUNCIA SULLA MORTE DI 2 PAZIENTI
E SULL’USO ILLEGALE DELLA CONTENZIONE FISICA
AVVENUTI NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA


Pagina 3
PREMESSA 2 -LA SECONDA DENUNCIA SULLA MORTE DI ALTRI 3 PAZIENTI
AVVENUTA NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA


Pagina 5
PREMESSA 3 -LA TERZA DENUNCIA SULLA MORTE DI ALTRI 7 PAZIENTI
AVVENUTA NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA


Pagina 6
PREMESSA 4 -LA SCOPERTA DELLA MORTE DI 12 PAZIENTI
AVVENUTA NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA
E’ STATO UN AVVENIMENTO UNICO ED ECCEZIONALE, FORSE IRRIPETIBILE


Pagina 8
1 -LE APATICHE INDAGINI PRELIMINARI DELLA PROCURA DI MILANO
SVOLTE FINO AD APRILE 2013
SULLA MORTE DI 12 PAZIENTI NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DELL'OSPEDALE
NIGUARDA DI MILANO


Pagina 10
2 -LE ALACRI, SOLERTI, FULMINEE E SOLLECITE
INDAGINI PRELIMINARI CHE LA PROCURA DI MILANO HA SVOLTO
SUI RAPPORTI SESSUALI TRA UN NOTO POLITICO E
UNA GIOVANE DONNA DI 18 ANNI MENO QUALCHE MESE


Pagina 12
3 -LA MAGISTRATURA DEVE ESSERE AUTONOMA DALLA POLITICA
ANCHE DA QUELLA SANITARIA ESPRESSA DALLA PSICHIATRIA PUBBLICA


Pagina 15
4 -LE ULTIME GROTTESCHE VICENDE
DELLA STRAORDINARIA ED OSSESSIVA PERSECUZIONE DISCIPLINARE
DELLA D.SA NICOLETTA CALCHI NOVATI
DA PARTE DELL’AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDA



PREMESSA 1 -LA PRIMA DENUNCIA SULLA MORTE DI 2 PAZIENTI E SULL’US-LA PRIMA DENUNCIA SULLA MORTE DI 2 PAZIENTI E SULL’USO
ILLEGITTIMO DELLA CONTENZIONE FISICA AVVENUTI NEI REPARTI PSICHIATRICI
GROSSONI DI NIGUARDA


Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

Nell’aprile del 2010 l’opinione pubblica italiana era rimasta fortemente colpita dalle agghiaccianti
immagini video apparse nella trasmissione ‘Mi manda RAI 3’, che documentavano in diretta
l’agonia di Francesco Mastrogiovanni fino alla sua morte, avvenuta la notte tra il 4 e il 5 agosto
2009, mentre si trovava legato da oltre 90 ore ad un letto di contenzione nell'Ospedale di Vallo della
Lucania.
Quel video era, ed è rimasto, una straordinaria testimonianza dell’orrore disumano a cui può
arrivare la pratica della coercizione fisica nei trattamenti psichiatrici, una straordinaria denuncia
contro l’uso invalso di legare mani e piedi dei pazienti psichiatrici ad un letto di contenzione (come
anche degli anziani nelle case di riposo o dei giovani tossicodipendenti nei centri di recupero), uno
straordinario disvelamento della ‘barbarie’ di un metodo che non può non essere definito una vera e
propria tortura, che qualche volta si trasforma, con la morte della vittima, in vero e proprio
supplizio.

Nell’estate del 2010 avevamo avuto notizia di un fatto, a suo modo eccezionale, che stava
avvenendo nel reparto psichiatrico Grossoni ‘2’ dell’ospedale Niguarda: l’Ufficio Procedimenti
Disciplinari della Dirigenza di Niguarda aveva sospeso dal lavoro, con motivazioni risibili, la D.sa
Nicoletta Calchi Novati, psichiatra in forza al Grossoni ‘2’.
La D.sa Calchi era nota da tempo a Niguarda per il suo eterodosso programma terapeutico,
grandemente distante da quelli in uso nel suo reparto: la D.sa Calchi, infatti, era abituata a
privilegiare il rapporto umano e fiduciario con i pazienti e ad essere contraria all’uso abituale delle
contenzioni fisiche. La sua sospensione, chiesta dal primario e dalla maggioranza dei colleghi di
reparto, aveva provocato un’imponente protesta dei suoi pazienti sfociata in una lettera aperta
firmata da ben 112 di loro e oltre 200 familiari: in questa lettera oltre a richiedere il reintegro pieno
nelle sue funzioni della loro psichiatra di fiducia, sottoposta a un feroce mobbing , veniva chiesto il
rispetto dei principi della legge180 all’interno dei reparti Grossoni e denunciato “il modus operandi
applicato nel Reparto di Psichiatria 2 dove si è ricorso persino a brutali e inaccettabili atti di
costrizione e di contenzione fisica in violazione dei diritti fondamentali dell’uomo”.

Mentre avveniva questo, alla fine di ottobre del 2010 abbiamo appreso la morte del Sig. Tullio
C., avvenuta nel reparto Grossoni ‘3’: a detta di operatori di Niguarda, il Sig. Tullio era
morto alle 2 di notte del 24 ottobre 2010 mentre si trovava legato mani e piedi al suo letto di
contenzione da oltre 14 ore.

Immediata si è levata da molte parti una veemente protesta contro quest’altra atroce morte.
Il 23 novembre 2010, presso la sala stampa del Palazzo di Giustizia, abbiamo organizzato, quando
ancora facevamo parte del Telefono Viola di Milano, una prima conferenza stampa in cui, oltre alla
morte del Sig. Tullio, venivano denunciati altri 5 casi di gravi abusi commessi nei reparti
psichiatrici Grossoni di Niguarda, tutti relativi a contenzioni fisiche attuate ben oltre i limiti
consentite dalle stesse linee guida dell’ospedale, e che, molto probabilmente, già in un altro caso
avevano causato la morte del paziente.
I casi di abuso denunciati si riferivano ai pazienti:

2


-Francesco D., che ‘è stato rinvenuto morto’ al Grossoni ‘3’ la mattina del 1° ottobre
2008 per “Insufficienza respiratoria in soggetto affetto da obesità severa”: il Sig.
Francesco, affetto da una grave forma di dispnea, a detta di operatori di Niguarda è
morto durante la notte mentre era legato mani e piedi al suo letto di contenzione;
Francesco D., che ‘è stato rinvenuto morto’ al Grossoni ‘3’ la mattina del 1° ottobre
2008 per “Insufficienza respiratoria in soggetto affetto da obesità severa”: il Sig.
Francesco, affetto da una grave forma di dispnea, a detta di operatori di Niguarda è
morto durante la notte mentre era legato mani e piedi al suo letto di contenzione;

-Mohamed M., che ha perso l’uso di entrambe le braccia, rimaste paralizzate dopo la
supercontenzione fisica del lenzuolo arrotolato, detta ‘spallaccio’, a cui è stato
sottoposto durante il suo ricovero al Grossoni ‘1’ nel giugno-luglio 2005;

-Rita F. G., che ha perso l’uso di entrambe le gambe, rimaste paralizzate dopo le
prolungate contenzioni fisiche a cui è stata sottoposta durante il suo ricovero al
Grossoni ‘2’;


-Marinella S., che è stata legata mani e piedi al suo letto di contenzione al Grossoni ‘2’
per oltre 18 giorni consecutivi;

-Andrea R., già paziente della D.sa Calchi, che, subito dopo la sospensione dal lavoro di
quest’ultima, è stato legato mani e piedi al suo letto di contenzione al Grossoni ‘2’ per
14 giorni consecutivi.

Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

morire in una corsia di ospedale, legati mani e piedi legati ad un letto, con nessun infermiere che
accorre in aiuto è sempre atroce, inumano e crudele.
Si può provare a immaginare, però, quale tremenda sofferenza abbia dovuto subire il Sig. Francesco
D., obeso e affetto da una grave forma di ‘dispnea’ (per dispnea si intende un tipo di respirazione
faticosa, che viene avvertita soggettivamente come "fame/bisogno d'aria" ed inadeguatezza del
respiro, e che comporta l'aumento dello sforzo per respirare, con la conseguenza di un impegno
muscolare non spontaneo per compiere inspirazioni ed espirazioni a causa della quale è vivamente
consigliato dormire seduti e mai sdraiati) qualora fosse accertato che egli sia morto mentre era
sdraiato in posizione supina, con i polsi e le caviglie legati da cinghie di cuoio alla struttura di ferro
del suo letto.

Nell’Ospedale di Niguarda, esiste un portale informatico interno dei reparti, il Portale dei Reparti,
accessibile solo dai medici, in cui vengono raccolti e archiviate tutte le documentazioni sanitarie di
ogni ricovero, in ognuno dei reparti dell’ospedale.
Ebbene, la documentazione relativa all’ultimo e fatale ricovero al Grossoni ‘3’ del Sig. Tullio C., la
documentazione relativa al ricovero al Grossoni ‘1’ del Sig. Mohamed M. e la documentazione
relativa al ricovero al Grossoni ‘2’ della Sig.ra Rita F., sono state fatte tutte sparire dal portale dei
reparti di Niguarda.
Del Sig. Mohamed M. e della Sig.ra Rita F., sono rimaste al loro posto, naturalmente, tutte le
documentazioni relative al ricovero negli altri reparti dell’Ospedale, quando frettolosamente vi sono
stati trasferiti al sopraggiungere delle paralisi agli arti.
Ed è proprio da queste relazioni dei medici non psichiatri, che è stato possibile ricostruire il
calvario dei due pazienti.

PREMESSA 2 -LA SECONDA DENUNCIA SULLA MORTE DI ALTRI 3 PAZIENTI
AVVENUTA NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA


3


Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati


Il grande rilievo dato dai giornali e dalle agenzie di comunicazione a quella prima denuncia del
Telefono Viola sugli abusi avvenuti nei 3 reparti Grossoni di Niguarda ha avuto una grande
risonanza negli ambienti italiani sensibili al tema della difesa dei diritti umani delle persone
ricoverate nei reparti psichiatrici.
Soprattutto, però, tale rilievo ha prodotto un risultato inaspettato e sicuramente eccezionale nel
panorama nazionale della psichiatria pubblica: nell’impenetrabile e lugubre muro dì omertà che ha
reso possibile nel corso degli anni il perpetuarsi indisturbato nei 3 reparti Grossoni (come anche in
tanti altri reparti psichiatrici ospedalieri italiani) di numerosi e gravissimi abusi, hanno
cominciato ad aprirsi alcune crepe, alcuni spiragli di luce, che hanno permesso di far trapelare in
superficie altri tre casi, sconosciuti fino ad allora, di pazienti morti nei reparti Grossoni.
Le cause di alcune di queste morti sono state semplicemente raccapriccianti: esse offendono
profondamente i principi della dignità umana ed i diritti dei ricoverati negli ospedali.


Il 23 dicembre 2010 abbiamo organizzato una seconda conferenza stampa, sempre presso la sala
stampa del Palazzo di Giustizia di Milano.
I nuovi gravi casi di abuso denunciati si riferivano ai pazienti:


-Filippo S., che è morto al Grossoni ‘2’ il 17 marzo 2009: il Sig. Filippo, affetto da una
grave forma di disfagia, è morto soffocato dal cibo che stava mangiando;

-Maria Graziella B., che è morta al Grossoni ‘3’ il 13 gennaio 2010: la Sig.ra Maria
Graziella, affetta da una grave forma di disfagia, è morta soffocata dal cibo che stava
mangiando;

-Antonio R., che è morto ‘improvvisamente’ al Grossoni ‘3’ il 18 settembre 2007.

Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

La disfagia è una malattia che impedisce il controllo dei muscoli della deglutizione, ed è una
malattia iatrogena, in quanto è conseguenza di cure mediche.
La letteratura medica specifica che tra le “più significative cause di disfagia orofaringea iatrogena,
vi sono gli “effetti collaterali di terapie farmacologiche neurolettiche”: ovvero la disfagia è una
malattia causata dall’uso eccessivo di questi psico-farmaci neuroparalizzanti, senza rispettare i
relativi protocolli farmacologici.
Il Sig. Filippo S. e la Sig. Maria Graziella B. erano da lungo tempo pazienti psichiatrici e si sono
ammalati di questa grave e inabilitante malattia perchè sono stati sottoposti ad eccessive ed errate
terapie neurolettiche.
In tutti i reparti ospedalieri sanno che questi pazienti hanno bisogno di assistenza e attenzione
quando mangiano: in genere è consigliabile che siano imboccati con piccoli bocconi.
A maggior ragione ci si aspetterebbe che soprattutto in quei reparti psichiatrici che sono i
responsabili diretti dell’insorgenza della ‘disfagia’, a causa delle intense terapie di neurolettici a cui
sottopongono i propri pazienti, si senta come minimo il dovere di assistere i malati di ‘disfagia’.
Ed invece è avvenuto che il Sig. Filippo S. e la Sig. Maria Graziella B., appannati dagli
psicofarmaci, sono stati abbandonati a se stessi durante il pranzo, a morire in un reparto ospedaliero
di Niguarda, a distanza di 10 mesi uno dall’altra, in completa solitudine, in modo orribile, soffocati
dal cibo che stavano mangiando.

Anche nel caso della morte del Sig. Filippo S. e della Sig.ra Maria Graziella B. le documentazioni
relativa al loro ultimo ricovero al Grossoni ‘2’ e al Grossoni ‘3’ sono state fatte tutte sparire dal
portale dei reparti di Niguarda.

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Solo le due perizie necroscopiche della Struttura complessa di Anatomia Istologia Patologica e
Citogenetica di Niguarda, sono rimaste a disvelare l’orrore di queste due morti in psichiatria.
La perizia necroscopica effettuata sul cadavere del Sig. Filippo S. dichiara:
Struttura complessa di Anatomia Istologia Patologica e
Citogenetica di Niguarda, sono rimaste a disvelare l’orrore di queste due morti in psichiatria.
La perizia necroscopica effettuata sul cadavere del Sig. Filippo S. dichiara:

-Causa del decesso: “Insufficienza respiratoria in polmonite ab ingentis”.
-Dalla Diagnosi Anatomopatologica: “Ostruzione completa della via aerea da ingesti
parzialmente digeriti. ....”.

La perizia necroscopica effettuata sul cadavere della Sig.ra Maria Graziella B. dichiara:

-Causa del decesso: “Insufficienza respiratoria in polmonite ab ingentis” ed in
ostruzione della via aerea da residuo alimentare.
-Dalla Diagnosi Anatomopatologica: “Ostruzione completa della via aerea (faringolaringea)
da residuo alimentare vegetale”.

Durante la seconda conferenza stampa del 23 dicembre 2010 abbiamo denunciato anche l’assurda
contenzione di Maria Teresa D., che è stata legata mani e piedi al suo letto di contenzione al
Grossoni ‘2’ solo perché in mensa aveva osato chiedere del sale agli infermieri del reparto; ovvero
una contenzione in aperto spregio delle stesse linee guida di Niguarda sulla contenzione fisica,
rivelatore di come la contenzione fisica venga considerata dagli operatori psichiatrici dei Grossoni
un mero e abituale strumento di punizione.

Tutti e 10 i casi di abuso denunciati nelle due conferenze stampa del 23 novembre e del 23
dicembre 2010, sono stati raccolti nell’esposto depositato il 13 dicembre presso la Procura della
Repubblica di Milano.
Abbiamo ritenuto importante aggiungere tra i ‘fatti’ di Niguarda presenti nell’esposto anche
l’incredibile inserimento nelle linee guida della contenzione fisica a Niguarda della contenzione del
lenzuolo arrotolato, ovvero la pericolosa supercontenzione detta dello ‘spallaccio’, di manicomiale
memoria. Questa pratica barbara, che viene usata per ‘fissare’ il torace al materasso e che rischia di
provocare la “paralisi bilaterale del plesso branchiale” a causa della forte pressione del lenzuolo
arrotolato sulle ascelle, viene applicata ad un paziente che si trova contenuto, contemporaneamente,
già da tre diversi gradi di contenzione fisica: egli, infatti, è chiuso a chiave in un reparto ospedaliero
da cui non può uscire, è bloccato nei movimenti dalla contenzione chimica di potenti farmaci
neurolettici (neuro-paralizzanti) ed è, infine, legato mani e piedi ad un letto di contenzione.
Sappiamo che tale pratica del lenzuolo arrotolato è ancora in uso in molti SPDC italiani.
Pertanto, egregio Procuratore Capo Bruti Liberati, ci è sembrato importante che la Magistratura
giudicasse pericolosa, e quindi illegale, tale pratica.

PREMESSA 3 -LA TERZA DENUNCIA SULLA MORTE DI ALTRI 7 PAZIENTI
AVVENUTA NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA


Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

quelle crepe, quegli spiragli di luce che si erano aperti nell’impermeabile e sinistro muro dì omertà
eretto a protezione della reale situazione dei pazienti psichiatrici di Niguarda, anche dopo il 13
dicembre 2010 hanno continuato per qualche settimana a gettare luce sulle morti di pazienti nei
reparti psichiatrici Grossoni di Niguarda.
Queste ulteriori rivelazioni ci hanno indotto ad organizzare il 22 marzo 2011 una terza conferenza
stampa, sempre presso la sala stampa del Palazzo di Giustizia di Milano.
I casi di morte nei reparti Grossoni si riferivano ai pazienti:

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-Giovanna Angela P., che è stata trovata morta accasciata di fianco al letto al Grossoni
‘3’ la mattina del 22 settembre 2008;
-Dario D., che è morto ‘improvvisamente’ al Grossoni ‘2’ alle 2,15 di notte del 9 gennaio
2009;
-Giancarlo C., che è morto suicida appena uscito in permesso dal Grossoni ‘1’ il 4
dicembre 2009;
Giovanna Angela P., che è stata trovata morta accasciata di fianco al letto al Grossoni
‘3’ la mattina del 22 settembre 2008;
-Dario D., che è morto ‘improvvisamente’ al Grossoni ‘2’ alle 2,15 di notte del 9 gennaio
2009;
-Giancarlo C., che è morto suicida appena uscito in permesso dal Grossoni ‘1’ il 4
dicembre 2009;

-Un signore cingalese, di cui non siamo riusciti a conoscere il nome ed il cui ricovero al
Niguarda è letteralmente sparito dal Portale dei Reparti, che è morto suicida,
impiccato al Grossoni ‘1’ il 5 aprile 2010, giorno di pasquetta;

-Giorgio V., che è morto ‘improvvisamente’ al Grossoni ‘3’ il 4 agosto 2010;
-Marco B., che è morto ‘improvvisamente’ al Grossoni ‘1’alle 2,45 di notte del 3 febbraio
2011;
-Orlando Salvatore A., che è morto suicida, impiccato al Grossoni ‘2’ con i lacci delle
sue scarpe, all’ora di cena del 10 marzo 2011.

Anche nel caso della morte del Sig. Dario D., dello sconosciuto signore cingalese, del Sig. Giorgio

V. e del Sig. Marco B. le documentazioni relative al loro ultimo ricovero ai Grossoni sono state
fatte sparire dal portale dei reparti di Niguarda.
Spesso i cadaveri di questi pazienti morti nei reparti di psichiatria non sono stati nemmeno registrati
presso la camera mortuaria dell’ospedale di Niguarda. I ricoveri di questi pazienti morti in
psichiatria sono semplicemente spariti, cancellati, dissolti, resi inesistenti, mai avvenuti.
E’ inammissibile che, in un grande ospedale, un ricoverato debba morire in un letto del reparto
psichiatrico: in un qualsiasi normale ospedale ‘civile’ quando una persona ricoverata in psichiatria
comincia a sentirsi male ed è in gravissime condizioni, viene immediatamente trasportata nei reparti
di medicina di urgenza e di rianimazione per le terapie del caso.
Troppe volte nei reparti Grossoni di Niguarda questa procedura non è avvenuta.
Troppe volte nei reparti Grossoni di Niguarda i pazienti muoiono nel pieno della notte.


Una paziente dei Grossoni dell’ospedale Niguarda ci ha raccontato che una volta è stata ricoverata
per qualche giorno all’SPDC di un altro ospedale milanese, il San Carlo: durante la notte aveva
provato a suonare il campanello del letto e si meravigliò moltissimo quando, dopo qualche secondo,
vide apparire un’infermiera che le chiese di cosa aveva bisogno: nei suoi numerosi ricoveri ai
Grossoni si era abituata alla completa inutilità di quel gesto, al fatto che di notte non arriva mai
nessuno quando si suona il campanello.
Nei Grossoni, troppe sono le persone ricoverate morte ‘improvvisamente’ nel cuore della notte:
questi poveri pazienti, prima di morire, avevano suonato a lungo e invano il campanello per avere
soccorso dall’infermiere del turno notturno?
Il tragico filmato sull’agonia di Francesco Mastrogiovanni, eccezionale documento testimonianza
sulle reali modalità in uso in SPDC come quelli degli ospedali di San Luca e di Niguarda, rivela che
gli infermieri si accorgono solo dopo qualche ora che Francesco è morto.
Il 22 marzo 2011 abbiamo presentato un’integrazione all’esposto del 13 dicembre contenente questi
ulteriori 7 gravi casi di morte di pazienti nei 3 reparti psichiatrici Grossoni di Niguarda.

PREMESSA 4 -LA SCOPERTA DELLA MORTE DI 12 PAZIENTI
AVVENUTA NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI DI NIGUARDA
E’ STATO UN AVVENIMENTO UNICO ED ECCEZIONALE, FORSE IRRIPETIBILE


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Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

Non v’è dubbio che l’esposto sui ‘fatti’ dei Grossoni rappresenti negli ultimi anni (forse occorre
dire negli ultimi decenni) la più imponente denuncia di abusi avvenuti nei reparti psichiatrici
ospedalieri italiani.
La ‘scoperta’ dei fatti presenti nell’esposto, come si è visto, è stata imprevista, difficile, accidentata
e fortunosa.
La stessa D.sa Nicoletta Calchi Novati, che, quando era al lavoro al Grossoni ‘2’, rimaneva fino ad
oltre 10 ore consecutive in reparto, della grande maggioranza di queste morti nei reparti Grossoni
ne è venuta a conoscenza solo nel corso di quelle eccezionali rivelazioni che ci hanno permesso di
denunciarle pubblicamente.
A proposito di queste rivelazioni, dopo ogni conferenza stampa di denuncia degli abusi ai Grossoni,
dentro l’ospedale Niguarda si è scatenata una serrata, intimidente e decisa caccia alle ‘spie’, alle
‘gole profonde’, a coloro che avevano osato ‘rivelare’ i nomi dei pazienti morti nei reparti.
I pochi infermieri e i pochi psichiatri, oltre alla D.sa Calchi, che avevano manifestato perplessità
sulle ‘abitudini’ terapeutiche in voga nei 3 reparti, sono stati intimiditi, demansionati, emarginati.
La dura reazione scatenatasi contro le fughe di notizie trapelate in quei fatidici 3 mesi, ha avuto al
fine successo: dopo la 3ª conferenza stampa, il silenzio sugli abusi nei 3 reparti psichiatrici è
tornato di nuovo a dominare sovrano ed incontaminato.
Il muro di silenzio che, per circostanze del tutto inconsuete, casuali ed occasionali, si era
faticosamente incrinato permettendo di intravedere per qualche istante la reale situazione dei tre
reparti, si è, infine, irrimediabilmente ricomposto.

Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

Negli ultimi decenni, in merito alla denuncia di abusi nell’assistenza psichiatrica pubblica, la morte
per supplizio di Francesco Mastrogiovanni, da una parte, e la scoperta dei 12 morti dei reparti
psichiatrici di Niguarda, dall’altra, rappresentano senza alcun dubbio i due avvenimenti più
importanti, ma, nello stesso tempo, anche più rari.

Entrambi questi due avvenimenti, infatti, si sono potuti avverare solo a causa di circostanzeeccezionali e, forse, irripetibili.
Nel caso dell’SPDC di Vallo di Lucania, la presenza di un circuito chiuso di telecamere, installato
per contrastare le interferenze della camorra nelle attività dell’ospedale, ha permesso di registrareminuto per minuto le 92 ore dell’agonia fino all’atroce morte del povero maestro elementare.
Nel caso degli SPDC Grossoni di Niguarda, a causa del particolare clima creatosi per leconcomitanti forti proteste di 112 pazienti della D.sa Calchi contro la sua persecuzione disciplinaree quelle dell’opinione pubblica per la morte del Sig. Tullio C., si sono imprevedibilmente allentate
le regole ferree dell’omertà imperante nei reparti psichiatrici, lasciando trapelare in più occasioni i
nomi di pazienti deceduti. (Naturalmente la sola conoscenza di questi nomi non sarebbe servita a
nulla se nell’ospedale di Niguarda non fosse stato presente il Portale dei Reparti, l’archivio
informatico interno che raccoglie tutta la documentazione medica di ogni singolo ricovero. E’ daquesto archivio che è stato possibile sia indirizzare una luce diretta su una parte degli abusidenunciati, che acquisire un segnale significativo sulla parte rimanente di tali abusi, attraverso legravi sparizioni dal portale stesso di una parte delle documentazioni mediche).

Siamo convinti che dopo il video sulla morte di Mastro Giovanni ben difficilmente un’altratelecamera riprenderà mai in un SPDC italiano pazienti legati mani e piedi al loro letto dicontenzione.
Siamo convinti che dopo le denunce sulla morte di 12 pazienti ai Grossoni di Niguarda, bendifficilmente in questi reparti, come anche negli altri reparti psichiatrici ospedalieri, qualcuno avrà

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il coraggio di rivelare altri abusi di così grave portata.

Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

In un convegno tenutosi recentemente a Messina per la presentazione della campagna di tutela dellepersone sottoposte a TSO, Giuseppe Bucalo dell’Associazione Penelope ha fatto un’osservazioneparticolarmente illuminante sul video che ha registrato l’agonia di Francesco Mastrogiovanni.
Egli ha invitato ad osservare quegli infermieri che durante le 92 ore si avvicendano attorno al letto
di Francesco: essi non sono affatto persone particolarmente malvage, i loro gesti, le loro movenzeaccanto al letto dove Francesco sta perdendo sangue dai polsi, si agita disperato, si lamentasofferente, sta agonizzando, sono quelli soliti, di normali infermieri di un qualsiasi altro reparto
psichiatrico. Gesti usuali, ripetuti centinaia di volte nel loro lavoro.
Ecco, è proprio questa ‘normalità’ degli infermieri dell’Ospedale S. Luca che rivela l’essenza più
profonda e terribile del supplizio di Francesco: per questi infermieri legare i pazienti, sentirligridare, vederli sanguinare, vederli soffrire, qualche volta fino alla morte, rientra nella ‘normalità’,
nella routine di un reparto psichiatrico ospedaliero.
Ebbene, la realtà fedelmente registrata dal video di Vallo non rappresenta altro è che la ‘normalità’
del manicomio.
La routinaria quotidianità del trattamento degli ‘infermi di mente’, all’interno dell’istituzione
ottocentesca del manicomio, che una superficiale, quanto interessata letteratura, continua a
considerare superata da tempo dalla riforma cosiddetta ‘Basaglia’.
E nemmeno vi è da pensare che l’SPDC dell’ospedale di San Luca di Vallo della Lucania sia un
reparto psichiatrico molto peggiore di altri.
In fondo l’unica ‘sfortuna’ di quell’SPDC è stata la presenza di quella telecamera: senza di essa, esenza il PM che ne ha richiesto l’acquisizione tra gli atti del processo, la morte di Francesco
Mastrogiovanni sarebbe stato declassata ad uno dei tanti episodi, sconosciuti ai più, che accadono
in uno dei qualsiasi SPDC italiani.
Altrettanto dicasi per i 12 pazienti morti nei Grossoni di Niguarda, di cui almeno due, a detta dellostesso personale, morti nelle stesse condizioni di Fancesco Mastrogiovanni: se non si fossero create
le straordinarie condizioni verificatesi sul finire del 2010, oggi non sapremmo nulla di quelle morti.
E nemmeno vi è da pensare che i tre SPDC Grossoni dell’ospedale di Niguarda di Milano sia unreparto psichiatrico molto peggiore di altri.
I gravi fatti accaduti negli SPDC degli ospedali di San Luca e di Niguarda, più che episodieccezionali e circoscritti di malasanità, rappresentano piuttosto una spia eloquente dell’estensionedelle modalità costrittive manicomiali, largamente presenti nell’assistenza psichiatrica pubblica
italiana.

1 -LE APATICHE INDAGINI PRELIMINARI DELLA PROCURA DI MILANO
SVOLTE FINO AD APRILE 2013
SULLA MORTE DI 12 PAZIENTI NEI REPARTI PSICHIATRICI GROSSONI
DELL'OSPEDALE NIGUARDA DI MILANO


Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

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Lo scorso 13 febbraio 2013 abbiamo tenuto una conferenza stampa presso il Palazzo di Giustizia di
Milano in merito all’esposto del 13 dicembre 2010 e all’integrazione del 22 marzo 2011, sui
gravissimi abusi commessi nei 3 reparti psichiatrici di Niguarda.
Nel corso della conferenza Le abbiamo rivolto pubblicamente 2 domande:


“Perchè il primo PM incaricato delle indagini, D.sa Ripamonti, dopo 1 anno e 10 mesi è stata
sostituita dal Dr. Antonio D’Alessio?”
“A che punto si trovano le indagini preliminari sugli abusi denunciati con l’esposto?”


In merito alla prima domanda Lei non ci ha risposto.
Da alcuni giornalisti abbiamo saputo che, forse, la D.sa Ripamonti nell’ottobre del 2012 possa avere
chiesto il congedo per gravidanza.
In merito alla seconda domanda Lei ci ha fatto sapere di non essere molto al corrente dello stato
delle indagini, e, pertanto, ci ha invitato a rivolgerci direttamente al PM attualmente incaricato.
A proposito del Dr. D’Alessio, da notizie stampa ci risulta che egli è attualmente molto impegnato
in una complessa indagine di grande rilievo e spessore, riguardante le infiltrazioni della
‘ndrangheta nella sanità lombarda.


In merito ai risultati delle indagini preliminari condotte dalla D.sa Maura Ripamonti nei lunghi 22
mesi in cui è stata titolare dell’inchiesta, nulla ci è dato sapere, come è normale, dovrei aggiungere,
considerato il vincolo della segretezza sulle indagini preliminari.
Sappiamo solo che su nostra richiesta, subito dopo la presentazione dell’integrazione dell’esposto
del 22 marzo 2011, i 5 firmatari dell’esposto sono stati sentiti da alcuni funzionari della polizia
giudiziaria, che si sono limitati a fare solo qualche domanda di rito.
Poi più nulla.
Sappiamo anche che alcuni dei pochi testimoni chiave da noi indicati nell’esposto non sono mai
stati sentiti.
E’ forse sbagliato dedurre da tutto ciò che, fino a quando la D.sa Maura Ripamonti è stata la
titolare delle indagini preliminari, le stesse non abbiano fatto grandi passi avanti?


In merito allo stato delle indagini con il nuovo incaricato, il 27 febbraio, alle ore 12,00, abbiamo
incontrato il Dr. Antonio D’Alessio nel suo ufficio alla Procura.
Alla nostra domanda sullo stato delle sue indagini preliminari la risposta testuale è stata questa: “Sì,
io ho ereditato questa indagine dallo scorso mese di ottobre; però devo dirvi la verità: io, in questo
fascicolo, non ci ho ancora messo la testa. Questo fascicolo è ancora là e devo prenderlo ancora in
mano” e ha indicato uno scaffale pieno di faldoni che era dietro di noi.
Alla nostra seconda domanda se aveva sentito o riteneva di sentire i testimoni diretti di quelle morti
avvenute nei reparti, ovvero i codegenti delle vittime, il Pubblico Ministero Dr. Antonio D’Alessio,
come punto da una vespa, improvvisamente ha avuto una reazione istintiva, immediata, ed
irrimediabilmente sincera, temiamo: con un autentico sobbalzo sulla sedia, ci ha guardato con uno
sguardo colmo di scandalizzata disapprovazione ed ha detto: “Ma quelle sono persone inferme di
mente e, come tali, non possono essere credibili!”.
Alla nostra terza domanda se aveva provato a sentire i parenti delle vittime, ha risposto: “Cosa
volete, è ormai passato troppo tempo per aspettarsi testimonianze valide”.
Alla nostra quarta domanda su una sua previsione in merito alla chiusura delle indagini preliminari,
ha detto che avrebbe messo mano al fascicolo e che la conclusione sarebbe arrivata prima di natale,
forse in autunno.


Dopo quell’incontro per i successivi 2 mesi non abbiamo saputo più nulla.


9


Solo la domenica 28 aprile, attorno alle 10,00 del mattino, un funzionario della Polizia Giudiziarica 28 aprile, attorno alle 10,00 del mattino, un funzionario della Polizia Giudiziaria
in forza alla Procura di Milano, ci ha telefonato a casa dicendoci che aveva ricevuto l’incarico di
indagare sui casi presenti nell’esposto sui Grossoni, e desiderava fare alcune domande.
Una di queste domande riguardava il suo desiderio di conoscere il cognome delle vittime degli
abusi, visto che nella copia dell’esposto che aveva in mano in quel momento di queste erano
indicati solo il nome e l’iniziale puntata del cognome.
Spiegammo allora, al candido e volenteroso funzionario di Polizia Giudiziaria, che la copia che
aveva in mano era solo la versione dell’esposto che rendemmo pubblica nelle conferenze stampa, in
cui non appariva il cognome per ragioni di tutela delle vittime. Lo pregammo, pertanto, di rivolgersi
al Dr. D’Alessio per farsi consegnare quanto meno la copia dell’esposto depositato, possibilmente
anche con la copia di tutti e 40 documenti medici allegati.
Il successivo sabato 4 maggio, il medesimo funzionario di Polizia Giudiziaria procedeva
all’interrogatorio della D.sa Nicoletta Calchi, indicata nell’esposto come testimone di 5 dei 18 casi.
La D.sa Calchi si è stupita nello scoprire che le domande rivolte vertevano genericamente su temi
generali riguardanti i reparti psichiatrici di Niguarda, mentre nessuna di esse ha riguardato nel
merito i 5 casi specifici di cui la dottoressa era indicata come testimone.
Successivamente abbiamo saputo che la Procura forse stava ascoltando coloro, 33 persone tra
psichiatri e infermieri dei 3 reparti, che sono stati indicati nell’esposto come persone al corrente dei
fatti.


Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati


Molteplici sono le nostre sensazioni in merito all’impegno che la Procura di Milano sta
profondendo sugli abusi avvenuti ai reparti psichiatrici Grossoni di Niguarda.
Innanzitutto è forte la nostra convinzione che se il 23 febbraio scorso non avessimo fatto la
conferenza stampa in cui Le chiedevamo notizie sullo stato delle indagini, queste sarebbero ancora
oggi ferme ed immobili, con il Dr. D’Alessio che ‘doveva ancora metterci la testa’.
Sembra però, che il 28 aprile 2013 le indagini siano finalmente partite.
A voler essere sinceri, se le avvisaglie sull’esito di queste investigazioni sono quelle che ci sono
apparse finora, siamo piuttosto pessimisti sulla capacità di quest’indagine di riuscire a raggiungere
risultati positivi.
Positivi per i pazienti ricoverati nei Grossoni (per tutti i pazienti tutti 32i SPDC italiani),
naturalmente.


2
LE ALACRI, SOLERTI, FULMINEE E SOLLECITE
INDAGINI PRELIMINARI CHE LA PROCURA DI MILANO HA SVOLTO
SUI RAPPORTI SESSUALI TRA UN NOTO POLITICO E
UNA GIOVANE DONNA DI 18 ANNI MENO QUALCHE MESE


Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

non possiamo non rilevare come in questi ultimi tre anni, mentre l’esposto sui Grossoni attendeva
l’inizio effettivo delle indagini preliminari, la Procura che lei dirige ed il Tribunale di Milano sono
stati impegnati in un procedimento giudiziario che largo spazio ha avuto nei media nazionali e
internazionali: il procedimento denominato dalla stampa ‘processo Ruby’.

10


Non possiamo non rilevare, soprattutto, l’intensità e la profondità di tale impegno, considerato che
il nostro punto di osservazione è quello di chi attende da due anni e 7 mesi che si cominci a
indagare seriamente sugli abusi avvenuti nei Grossoni.
Innanzitutto la Procura di Milano ha affidato le indagini preliminari di questo procedimento a ben
tre PM: la D.sa Ilda Boccassini, il Dr. Antonio Sangermano e il Dott. Pietro Forno.
Pare evidente che questa scelta lascia comprendere che fin dall’inizio si prevedeva, da parte della
Procura, un’indagine preliminare piuttosto ampia.
E, più che ampia, è stata imponente se il 13 gennaio 2010, appena 7 mesi dopo l’inizio delle
indagini preliminari, i 3 PM incaricati hanno inoltrato alla Camera dei Deputati l'Invito di
comparizione dell'On. Silvio Berlusconi, formato da ben 389 pagine contenenti decine di verbali di
interrogatori e molte decine di trascrizioni di intercettazioni telefoniche!
Ancor più stupefacenti sono i dati relativi al processo vero e proprio.
Innanzitutto per la sua durata: iniziato il 22 ottobre 2010 è terminato il 24 luglio 2013, dopo 48 (quarantotto)
udienze. Ovvero, se si tolgono le pause estive e invernali, con una media di un’udienza ogni 10 giorni.
Una produttività e rapidità tale da incenerire all’istante qualunque ‘illazione’ sulla lentezza della giustizia in
Italia.
Per quanto riguarda la dimensione quantitativa di tale impegno, i tre PM, la D.sa Ilda Boccassini, il
Dr. Antonio Sangermano e il Dott. Pietro Forno:


-hanno chiamato a deporre ben136 (centotrentasei) testi;
-hanno prodotto 34 (trentaquattro) faldoni relativi alle indagini, per un numero complessivo
di 50.000 (cinquantamila) pagine;
-hanno prodotto 56 (cinquantasei) CD e DVD relativi alle indagini più altri 54
(cinquantaquattro) DVD contenenti le intercettazioni telefoniche;
-hanno fatto esaminare tabulati telefonici con 2.441.036 (duemilioniquattrocentoquarantuno)
telefonate;

-hanno disposto l’intercettazione di 156.564 (centocinquantaseimilacinquecentosessantaquattro)
contatti telefonici tra telefonate e sms, per un ascolto totale di oltre 210
(duecentodieci) ore e la redazione di 18.122 (diciottomilacentoventidue) pagine del
brogliaccio da primo ascolto;

-sono state trascritti integralmente 648 (seicentoquarantotto) contatti telefonici, equivalenti a

3.530 (tremilacinquecentotrenta) pagine e a 23 ore e 30 minuti di ascolto.
Durante il processo sono stati depositati e prodotti 519 (cinquecentodiciannove) documenti con
56.798 (cinquantaseimilasettecentonovantotto) pagine.
Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati


Credo che concordi con noi nel considerare questo impegno della Procura di Milano, come anche
del Tribunale, piuttosto eccezionale.
Tuttavia ci sfuggono le ragioni e l’urgenza di tanto impegno, soprattutto (ed ciò che a noi interessa)
in relazione all’opacità del parallelo impegno della Procura di Milano sull’esposto-Grossoni.
In allegato a questo comunicato abbiamo riassunto in una scheda il confronto quantitativo tra i due
procedimenti: il risultato è così platealmente surreale che non credo siano necessarie parole di
commento!


Se dovessimo, però, passare ad un confronto qualitativo tra i due procedimenti, se, cioè, dovessimo
passare ad un confronto dell’impegno messo in campo dalla Procura sulla base della rilevanza
penale dei fatti in oggetto, ebbene allora le scelte della Procura della Repubblica di Milano
risulterebbero addirittura paradossali.


11


Da questo confronto qualitativo risulterebbe infatti che per la Procura della Repubblica di Milano: per la Procura della Repubblica di Milano:

la difesa dei diritti violati delle vittime dei Grossoni (alcune delle quali
hanno perso la vita nei reparti in modo atroce e disumano)

sarebbe molto meno importante

della difesa dei presunti diritti violati di una giovane donna di 18 anni meno
otto mesi, che non si considera affatto una vittima e che in Scozia sarebbe
considerata maggiorenne!

Oppure che per la Procura della Repubblica di Milano:

la difesa delle vittime di contenzioni fisiche illegittime, eccessive e
prolungate (alcune delle quali hanno perso definitivamente l’uso delle
braccia o l’uso delle gambe)

sarebbe molto meno importante

del perseguimento di un reato di concussione in cui il concusso è stato
obbligato a lasciare che una giovane donna di 18 anni meno sei mesi (che in
Scozia sarebbe considerata maggiorenne) dormisse in una camera da letto
di una normale abitazione invece che in una camerata di una comunità per
minori!

Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

è comunque indubbio che, d’altra parte, il rapido ‘processo Ruby’ abbia avuto uno straordinario
successo nella stampa e nei media dell’informazione nazionale e internazionale.
Altrettanto non si potrebbe dire dell’eventuale (non essendosi chiuse le indagini preliminari non
possiamo escludere l’archiviazione dell’esposto) ‘processo Grossoni’.
All’epoca, infatti, delle tre conferenze stampa consecutive sugli abusi dei Grossoni, una parte
significativa della stampa nazionale presente a Milano, ci riferiamo in particolare a ‘la Repubblica’
ea‘Il Corriere della sera’, mentre aveva pubblicato degli articoli in relazione alla prima conferenza
stampa in cui veniva denunciata la morte di due pazienti, ha totalmente ignorato sia la 2ª conferenza
stampa (in cui veniva denunciata la morte di altri 3 pazienti), che la 3ª (in cui veniva denunciata la
morte di altri 7 pazienti).

3 -LA MAGISTRATURA DEVE ESSERE AUTONOMA DALLA POLITICA
ANCHE DA QUELLA SANITARIA ESPRESSA DALLA PSICHIATRIA PUBBLICA

Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

il manicomio ha rappresentato, nella cultura e nelle società europee, una sorta di ‘buco nero’, un
universo isolato, un mondo parallelo e chiuso, del tutto refrattario agli universi dell’informazione,
della giustizia, della stessa medicina. Delle cosiddette istituzioni totali è indubbiamente stata la ‘più
totale’di tutte.
La legge 36/1904 sui manicomi e il relativo regolamento 615/1909, hanno garantito al direttore del
manicomio e allo psichiatra manicomiale un potere così assoluto sugli internati da rappresentare
una paradossale eccezione non scritta nell’ordinamento giuridico italiano.

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Passaggio cruciale di questa abdicazione dalla tradizione giuridica classica, ma conferma delle
tradizionali modalità ottocentesche del manicomio, è il 1° comma dell’art. 60 di questo
regolamento:
tradizionali modalità ottocentesche del manicomio, è il 1° comma dell’art. 60 di questo
regolamento:

”Nei manicomi debbono essere aboliti o ridotti ai casi assolutamente
eccezionali i mezzi di coercizione degli infermi e non possono essere usati

se non con l’autorizzazione scritta del direttore o di un medico

dell’istituto.”

Ecco dunque che al direttore e allo psichiatra del manicomio è stato riservato il potere di autorizzare
per iscritto il ricorso ai mezzi di coercizione degli ‘infermi’. Non solo: questa autorizzazione ha
rivestito, nel medesimo tempo, anche la funzione di ‘giustificazione’ medica per tale ricorso. E così,
anche formalmente, il cerchio si è chiuso.
Per quasi tutto il ‘900 la magistratura italiana si è sempre fermata alla soglia dei manicomi, come se
oltre quella soglia si entrasse in una sorta di regime di ‘extraterritorialità’.
Quanti giudici, nel secolo scorso, hanno indagato e perseguito i responsabili delle innumerevoli
vittime dei metodi e delle terapie manicomiali, dalla lobotomia alla shock terapia, alla
malarioterapia?
Al di là ed al di fuori delle novità rappresentate dalla riforma cosiddetta ‘Basaglia’, ovvero il
superamento del manicomio e l’equiparazione dello status giuridico dell’internato a quello di
paziente, una buona parte della psichiatra pubblica, continua a comportarsi come se quel non scritto
regime di ‘extraterritorialità’ continuasse ad essere tuttora valido.
Che la maggior parte della psichiatria pubblica continui imperterrita ad agire in un regime di scarsa
legalità, è dimostrato dal completo svuotamento della legge 180.
Questa legge, infatti, stabilisce che i trattamenti sanitari obbligatori in SPDC, i TSO, possano
avvenire solo in circostanze ‘assolutamente eccezionali’ (per usare la dizione dell’art. 60 del
regolamento del 1909), ovvero solo al concorrere contemporaneo di 3 condizioni:

“se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli
stessi non vengano accettati dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze
che consentano di adottare tempestive ed idonee misure extraospedaliere”

Ora, non solo la gran parte dei TSO vengono effettuati senza osservare queste disposizioni della
legge, ma la grande maggioranza degli altri ricoveri negli SPDC, pur essendo formalmente
volontari in regime di TSV, sono in realtà obbligatori anch’essi. Chiunque abbia avuto a che fare
con le modalità consuete di un SPDC sa che se un paziente, formalmente in trattamento sanitario
volontario, chiede di essere dimesso come è suo diritto, viene immediatamente minacciato di TSO.
Oggi quasi tutti i ricoveri in psichiatria sono sostanzialmente obbligatori.
In barba alla legge e all’art. 32 della costituzione!
La modalità coercitiva insita in questi ricoveri viene sempre giustificata dalla psichiatria pubblica
da presunte e mai spiegate esigenze ‘terapeutiche’. Esattamente come nella lunga e lugubre
stagione del manicomio.
Potremmo arguire che la politica sanitaria prevalente di una parte rilevante dello stato, la psichiatria
pubblica oggi si muova di fatto in un regime di estesa illegalità.

Pietro Grasso, nel suo primo discorso presidente del Senato, ha parlato della magistratura
difendendone l'autonomia dalla politica:

“L'autonomia e l'indipendenza della magistratura sono un dettato costituzionale, indicano valori
da difendere da parte di tutti i cittadini. Non sono un privilegio ma rappresentano, insieme
all'informazione, il controllo di legalità della società”

Allora possiamo chiederci: che cosa fa la magistratura per esercitare il proprio dovere costituzionale
di controllo di legalità di quella parte dello stato costituita dalla psichiatria pubblica?
A questa domanda è facile rispondere: la Magistratura fa poco o nulla!


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La soggezione culturale della magistratura nei confronti del potere della psichiatria del manicomio,
caratteristica nell’epoca manicomiale, continua con poche eccezioni anche nell’epoca del dopo
riforma.
Esemplare di questa soggezione è il ruolo unico ed atipico che ancora oggi continua a rivestire, nel
processo, la perizia psichiatrica, la consulenza tecnica psichiatrica.
A differenza di tutte le altre perizie tecniche quella psichiatrica:


-esprime solo un’opinione, non suffragata da alcuna prova tecnicamente misurabile e
verificabile;


-é un vero e proprio interrogatorio, senza però le garanzie che durante gli interrogatori in un
processo vengono riconosciute all’imputato: presenza dell’avvocato difensore, avvertimento
dell’imputato che le informazioni volontariamente fornite potrebbero essere utilizzate per la
sua condanna;

-costituisce di fatto la stessa sentenza finale del processo, perchè il giudice, nel caso di
giudizio di incapacità per infermità di mente, quasi sempre si limita a prendere atto di tale
verdetto, abdicando dal proprio ruolo indipendente di giudice.

Di fatto, in un processo in cui l’imputato sia povero, viene accordato al perito psichiatra un potere
eccezionale, abnorme e anticostituzionale, perchè, vengono sommati in una sola persona il ruolo di
PM e di giudice. In questo modo, la perizia psichiatrica, più che il parere di un esperto su di un
‘fatto’ dimostrabile, diventa piuttosto il verdetto inappellabile di un oracolo.
Se, invece, l’imputato è ricco (o mafioso), tale straordinario potere è capace di fare assolvere
persino un omicida confesso, se il perito psichiatra lo ritenesse incapace di intendere e di volere al
momento del fatto.
Nonostante che le caratteristiche della consulenza tecnica psichiatrica, rappresentino un vistoso
vulnus costituzionale, non mancano giudici che si augurano un’estensione del ruolo della psichiatria
nei processi, con un aggravamento della dipendenza della Magistratura dalla politica sanitaria della
psichtri pubblica.

Nel 1998 al corso di aggiornamento obbligatorio organizzato dall'Ospedale Niguarda Ca' Granda
su"La prevenzione e la gestione del malato di mente autore di reato", il PM Pietro Forno,
rivolgendosi agli psichiatri legali presenti, auspicava proprio una tale maggiore partecipazione.

Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

Una delle caratteristiche più evidenti delle modalità psichiatriche ospedaliere è l’omertà diffusa tra
gli operatori, a garanzia del silenzio sulle notizie dei maltrattamenti dei pazienti, un’omertà che
nell’epoca manicomiale ha contribuito non poco a preservare l’impunibilità dei maltrattamenti degli
internati.
Non neghiamo che uno spirito omertoso possa allignare in un qualunque settore dello stato e
probabilmente i giudici sanno come sia difficile condurre un indagine in un ambiente che si
compatta a difesa del gruppo di appartenenza.
Per un PM, pur animato da una forte spinta ideale e deontologica, condurre un’investigazione sugli
abusi commessi nei tre reparti psichiatrici di Niguarda in un clima siffatto è oltremodo complesso,
che costringe a dovere usare tutte le risorse di un esperto investigatore.
Capirà, allora anche lei, egregio Procuratore Capo Bruti Liberati, il nostro sconcerto nel sentire le
dichiarazioni del PM Antonio D’Alessio nell’incontro del 27 febbraio, quando ha affermato con
sicurezza che si sarebbe guardato bene dall’interrogare i pazienti che erano ricoverati nei reparti
all’epoca degli abusi denunciati, tra cui anche i testimoni diretti delle morti denunciate.
E cosa si aspetta il PM D’Alessio, che siano gli infermieri o gli psichiatri del reparto, a rivelargli
spontaneamente se il Sig. Tullio C. o il Sig. Francesco D. erano legati al momento della loro morte?
E’ singolare questa concezione che, per investigare sugli abusi commessi nei confronti di pazienti
psichiatrici in un SPDC, non si possano interrogare le vittime di quegli abusi.

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Se si toglie il diritto di parola alle vittime dei maltrattamenti psichiatrici, si nega di fatto l’esistenza
stessa di vittime.
Se l’indagine sugli abusi ai Grossoni, già partita con un enorme ritardo (particolarmente
sconcertate a confronto dell’eccezionale rapidità del ‘processo Ruby’), pretende di venire a capo
degli abusi commessi con queste modalità investigative, allora basterà rileggersi il comunicato della
CGIL Medici di Niguarda, diffuso subito dopo la prima conferenza stampa a difesa di tutti gli
operatori dei Grossoni, per sapere quale sarà l’esito delle indagini stesse.
i nega di fatto l’esistenza
stessa di vittime.
Se l’indagine sugli abusi ai Grossoni, già partita con un enorme ritardo (particolarmente
sconcertate a confronto dell’eccezionale rapidità del ‘processo Ruby’), pretende di venire a capo
degli abusi commessi con queste modalità investigative, allora basterà rileggersi il comunicato della
CGIL Medici di Niguarda, diffuso subito dopo la prima conferenza stampa a difesa di tutti gli
operatori dei Grossoni, per sapere quale sarà l’esito delle indagini stesse.

Egregio Procuratore Capo Bruti Liberati

non so se in internet ha visto il video che registra l’agonia e la morte di Francesco Mastrogiovanni
legato mani e piedi al suo letto di contenzione.
Se non lo avesse ancora visto lo veda ora.
Quel video, per la conoscenza di ciò che avviene realmente in un SPDC, ha lo stesso valore
esplicativo che il ritrovamento della città di Pompei ha avuto per la conoscenza di come erano
realmente le città nell’epoca romana.
Tutte le centinaia di persone che ogni giorno vengono legate mani e piedi in un letto di contenzione
nei 321 SPDC italiani, tutti coloro che dalle contenzioni fisiche subiscono sofferenze e lesioni, tutti
coloro che come Francesco Mastrogiovanni rischiano di morire legate mani e piedi in un letto di
contenzione, tutti coloro che subiscono gravi lesioni fisiche a causa di eccessive, prolungate e non
volute terapie farmacologiche, ebbene tutti questi sfortunati cittadini, forse, potrebbero trarre un sia
pur minimo beneficio alle loro sofferenze dal perseguimento degli abusi avvenuti nei 3 reparti
Grossoni di Niguarda.

4 -LE ULTIME GROTTESCHE VICENDE
DELLA STRAORDINARIA ED OSSESSIVA PERSECUZIONE DISCIPLINARE
DELLA D.SA NICOLETTA CALCHI NOVATI
DA PARTE DELL’AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDA


Da 3 anni l’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda ha scatenato contro la D.sa Nicoletta Calchi
Novati, rea di non essere allineata alle modalità terapeutiche in voga nei reparti Grossoni, il più
gigantesco (e grottesco) processo disciplinare mai organizzato contro un singolo medico negli
ospedali italiani: dopo il primo procedimento di sospensione dell’estate 2010, lo zelante Ufficio
Procedimenti Disciplinari della Dirigenza di Niguarda ha avviato contro la coraggiosa psichiatra
altri 5 procedimenti disciplinari, sempre con ragioni pretestuose e risibili. Questi 6 procedimentidisciplinari si sono conclusi con altrettante sospensioni dal lavoro fino ad un totale complessivo diben 364 giorni!
Record italiano imbattuto e imbattibile.
Nemmeno con una persistente asportazione chirurgica di polmoni sani si potrebbe sperare di
riuscire ad avvicinarsi a tale record.
Oltre a questi procedimenti disciplinari l’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda ha presentato 5
esposti all’Ordine dei medici contro la D.sa Calchi. Tutti e 5 gli esposti sono stati archiviati.

L’ultimo episodio di tale paradossale persecuzione è rappresentata da un’illegittima, quanto
stravagante, perizia psichiatrica disposta l’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda in occasione
del rientro al lavoro della D.sa Calchi.

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Questa insuperabile perizia, che riduce la complessa vicenda del contrasto di fondo tra la D.sa
Calchi e i suoi colleghi sui programmi terapeutici ad un ridicolo romanzetto d’appendice, la
definisce affetta da ‘Disturbo Paranoide di Personalità’, ma solo, però, quando si trova a lavorare
in un reparto SPDC!
Un gongolante Servizio di Medicina di Sorveglianza Sanitaria dei Lavoratori di Niguarda si è
precipitato a comunicare alla D.sa Calchi, senza nemmeno aspettare che le fosse consegnato il testo
della perizia, che in base a questo accertamento sanitario “la lavoratrice è da ritenere non idonea
alla mansione di Dirigente Medico in ambito psichiatrico”.
E’ in corso nel Tribunale di Milano un procedimento civile per l’annullamento delle sospensioni
disciplinari comminate da Niguarda ed il pieno reintegro della D.sa Calchi al suo lavoro.


Come dire: che rientri pure, magari come bibliotecaria o magazziniera o addetta alle pubbliche
relazioni, ma per favore stia alla larga dei 3 SPDC di Niguarda!
Per favore, stia alla larga dai suoi colleghi e dalle loro consolidate abitudini terapeutiche per tenere
a bada gli infermi di mente!
Come dire: Vade retro Satana!
Questa incredbile perizia psichiatrica, condotta da due esimi psichiatri di Genova, merita un
commento a sè, che verrà svolto prossimamente in uno specifico scritto critico.


E’ notizia recente che il Dr. Mariano Bassi, primario del reparto di Psichiatria 2, già Grossoni 2, di
Niguarda, nonchè tra i principali ispiratori dei provvedimenti didisciplinari contro la D.sa Calchi, è
stato nominato dall’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, nuovo direttore del DSM –
Dipartimento di Salute Mentale di Niguarda.
Ci pare evidente come l’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda abbia già considerato come
bell’è che archiviato l’esposto sugli abusi commessi nei Grossoni, tra cui anche quello diretto dal
Dr. Mariano Bassi.


Milano 26 luglio 2013

Giorgio Pompa
Dalle Ande agli Appennini

In allegato la scheda:

“Confronto dell'impegno della procura di milano su due procedimenti giudiziari paralleli”

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